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I distillati di Egonomics

Plus e Minus 24 del 17/05/2025

Aggiornamento: 19 mag


Sin da quando ho iniziato a lavorare come consulente finanziario, uno dei riti del sabato mattina è comprare Il Sole 24 ore a cui è allegato l'inserto "Plus 24"e leggerlo al bar davanti ad una buona tazza di caffè (rigorosamente senza zucchero). Ho osservato l'evoluzione di questa pubblicazione nel corso degli ultimi due decenni e non ho potuto che notare un graduale abbassamento del livello dei contenuti, a favore della necessaria esigenza di incassare maggiori introiti pubblicitari.


Nonostante questo, il sole 24 ore ed il suo inserto del sabato offrono argomenti di riflessione. Quindi se non hai tempo di leggere il giornale, ecco qui i plus e i minus di sabato 17/05/2025



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Plus


L'articolo di oggi non cattura certo l'attenzione del lettore trovandosi ai margini dell'inserto, a pagina 8 in alto. Si tratta della rubrica "Autogol": "Quell'effetto distorsivo dello spread Btp-Bund".

L'autore mette in evidenza un dato di fatto: il differenziale (ossia lo spread) di rendimento tra il titolo di stato italiano a 10 anni e quello tedesco di pari durata è pari a 100, ossia 1 punto percentuale. In altre parole, se investo in un titolo di stato italiano (BTP) a 10 anni conseguo un rendimento del 3,70% annuo, mentre se investo nell'equivalente titolo tedesco (BUND) ottengo il 2,70% annuo. L'articolo aggiunge che questo calo del differenziale di rendimento non può certo dirsi una notizia incoraggiante, soprattutto per la Germania, che ora dovrà pagare maggiori interessi per via di un crescente ricorso alla leva del debito.


Minus


Il concetto di "spread" (differenziale), è assunto agli onori delle cronache nel 2011, quando il differenziale di rendimento tra il BTP e il BUND arrivò a toccare oltre 500 punti, ossia i titoli di Stato italiani rendevano oltre 5 punti percentuali in più degli omologhi tedeschi. I media in quel periodo martellavano in modo ossessivo, giornalmente, i dati sulla variazione del famigerato "spread BTP/BUND". L'Italia era entrata a far parte della non invidiabile lista dei Paesi europei definiti dagli analisti anglosassoni come "PIIGS", un acronimo dispregiativo, modellato sulla parola inglese “pigs” (maiali), usato per indicare i paesi dell’Eurozona percepiti come fiscalmente deboli, con alti livelli di debito pubblico, disoccupazione o deficit eccessivo.


Ma cos'è cambiato fra il 2011 ed il 2024?


La Grecia mantiene un rapporto debito/pil (rapporto tra indebitamento pubblico e prodotto interno lordo) superiore al 150%, l'Italia e la Spagna hanno peggiorato la propria situazione (l'Italia è passata da un debito PIL del 120,70% ad uno del 135,30%). Irlanda e Portogallo hanno, al contrario, migliorato il proprio dato.


L'avanzo primario (ossia la differenza fra entrate e uscite dello Stato Italiano, al netto degli interessi sul debito pubblico) nel 2011 era positivo e pari all'1,20% del PIL, nel 2024 è stato pari allo 0,40 del PIL%.


Eppure lo spread BTP/BUND adesso è 100 punti base, non 500, come nel 2011.


Certo, la quota di debito pubblico in mano ad investitori stranieri è diminuita passando dal 39,20% al 31,2%, grazie anche l'efficace attività di marketing del Ministero del Tesoro presso il pubblico retail.


Ma la differenza risiede nell'ingente quantità di titoli di stato italiani posseduti dall'Eurosistema (BCE e Banca d'Italia per conto della BCE) che sono passati dal 5% del 2011 ad un massimo del 31,4% nel 2022.

Ma ora che la quota di titoli detenuti dall'Eurosistema sta diminuendo (la quota è arrivata al 26,6%), cosa potrebbe succedere?


L'Italia per collocare il proprio debito dovrà guardarsi dalla prima economia dell'Eurozona, ossia la Germania, che con una decisione storica ha deciso di allentare i vincoli costituzionali alla creazione di debito pubblico con riferimento alle spese militari, alle infrastrutture e agli impegni finanziari delle regioni.


Una maggiore competizione fra Stati per collocare debiti sovrani, supportata dall'analisi ciclica (proprietaria) sul tasso decennale italiano, indicano per i prossimi 12 mesi una fase di stasi, seguita da un nuovo rialzo dei rendimenti. Se non sei interessato ad una speculazione di breve termine sui titoli di Stato a lunga durata (10 o più anni), meglio posizionarsi su scadenze più brevi e contenere il rischio.


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